LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

venerdì 18 dicembre 2015

393 - PADRE PIAMARTA SACERDOTE

MARIO TREBESCHI  (SECONDA PARTE)   vai all'inizio dell'articolo post 373

Religiosità di padre Piamarta
 
Il fondamento dell’azione apostolica del Piamarta era la sua intensa vita interiore. Egli si prefiggeva seri propositi di miglioramento interiore, specialmente negli esercizi spirituali. Scriveva: «Voglio salvare l’anima mia, voglio farmi santo sacerdote. Per ottenere questa grazia dal mio caro Gesù e Salvatore, mi fornirò di un grande spirito di preghiera» (esercizi spirituali, 17 aprile 1872); «Mi studierò di divenire umile e perciò di non parlare mai di me stesso, né in bene né in male. Starò sempre alla sua divina presenza, combatterò da forte sotto lo stendardo del mio Signore e Re Gesù Cristo» (esercizi spirituali, 9 settembre 1877).
Il Piamarta dedicava molto tempo alla preghiera. Egli diceva a madre Elisa Baldo, la cofondatrice della famiglia religiosa delle Umili Serve del Signore, che se non dedicava due o tre ore all’orazione al mattino non poteva portare il peso che il buon Dio gli aveva imposto48. Al mattino rimaneva in chiesa fino alle otto; dopo una lunga preparazione, celebrava la messa ai ragazzi e si dedicava alla confessione. Alla sera replicava con altro tempo di preghiera, anche fino a mezzanotte. Questo continuo contatto con Dio gli dava un aspetto esteriore di gravità meditativa.
La preghiera trovava nutrimento nei tempi liturgici. Il Piamarta aveva in grande considerazione la festa del Natale, poiché la famiglia di Nazareth è esempio di umiltà, di amore, solidarietà, laboriosità, virtù che venivano praticate nella sua comunità religiosa dei padri e delle suore e nella scuola e nel lavoro dei ragazzi. Nel tempo di Quaresima esortava a meditare almeno per una buona mezz’ora la passione di Cristo. Celebrava solennemente la festa della Pentecoste e credeva fermamente all’influsso dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e nella santificazione delle anime. Ogni festa,
al mattino, prima all’oratorio di Sant’Alessandro e poi agli Artigianelli, premetteva alla messa il canto dell’ufficio della Madonna; alla sera faceva cantare il vespro. Egli, che amava il canto fin da ragazzo, sceglieva i canti più adatti alla liturgia e si avvaleva della collaborazione di maestri di canto.
Il Piamarta esercitava le devozioni proprie del suo tempo, raccomandate anche dai documenti pontifici. Era devoto del Sacro Cuore. La fondazione dell’istituto Artigianelli era avvenuta il 3 dicembre 1886, primo venerdì del mese, giorno in cui si venera il Sacro Cuore. Il Piamarta dedicava la prima domenica delmese al Sacro Cuore, invitando la comunità alla comunione riparatrice. Fece consacrare la comunità al Sacro Cuore dal vescovo comboniano mons. Antonio Maria Roveggio, alla fine del XIX secolo, come era stato voluto dal papa per la Chiesa in occasione dell’anno santo del 1900.
Il Piamarta curava la devozione alla Madonna, le cui feste celebrava con grande pietà. Il mese di maggio riusciva sempre ben partecipato in istituto. La prima domenica di ottobre era dedicata al santo rosario, la seconda alla maternità di Maria, la terza alla purità e al patrocinio di Maria. Il Piamarta celebrava la festa della Presentazione al tempio, 21 novembre, come festa propria della comunità: la terza domenica di ottobre si recava in pellegrinaggio con i ragazzi alla chiesetta dedicata a questo mistero, sopra i ronchi di Brescia, che egli frequentava dai tempi di Sant’Alessandro. Nella chiesa dell’istituto fece erigere l’altare delle apparizioni di Lourdes: in questa cappella egli rimaneva raccolto in preghiera fino ad ora tarda. Egli praticava anche le devozioni personali mariane: nel mese di ottobre recitava il rosario intero; ogni sabato, giorno dedicato alla Madonna, si asteneva dalla frutta, faceva penitenza in occasione delle feste della Madonna. Anche l’esempio della Santa Famiglia era tenuto in grande considerazione, perché era proposto a ideale dell’istituto e della famiglia religiosa da lui fondata, che ne aveva il titolo. Anche i santi entrano nella devozione del Piamarta. Egli cominciò ad onorare Filippo Neri, il santo tipico della gioventù oratoriana, all’oratorio
di San Tommaso, dove c’era una pala del santo. All’istituto, in occasione della festa di San Filippo, celebrata solennemente, si teneva un’accademia, che iniziava con un panegirico, nel quale un giovane tesseva le lodi del santo, a cui seguivano declamazioni dei giovani e canti. San Filippo era il santo proprio dell’educatore degli Artigainelli, che deve stare sempre con i ragazzi, con umiltà, disponibilità e attesa fiduciosa ed era l’esempio della premura educativa per tutto il personale dell’istituto. Altri santi sono venerati dal Piamarta. Santa Teresa è l’esempio di orazione, non fine a se stessa, ma per ottenere l’unione con Dio, e per produrre opere di carità; sant’Ignazio insegna a mettere in ogni attività industria e sapienza, confidando in Dio, come se nulla dipendesse da noi, lasciando a lui i risultati delle opere. Nel suo testamento, il Piamarta lasciò scritta la massima di sant’Ignazio: «Noi dobbiamo governarci in ogni cosa e contingenza, con accorto e prudente discernimento come se tutto dipendesse dalla esclusiva nostra industria e accorgimento, e poi dobbiamo in tutto per tutto confidare in Dio, come se nulla noi avessimo fatto». Francesco Saverio è il santo delle missioni, nel cui giorno è iniziato l’istituto, 3 dicembre, esempio ai giovani per portare nella società pagana il regno di Dio. Sant’Isidoro agricoltore, patrono della Colonia Agricola di Remedello, è il simbolo di ogni lavoratore che unisce alla pietà verso Dio la capacità di lavoro. Francesco di Sales è modello delle virtù della vita religiosa e di ogni direttore spirituale, che conduce
le anime con fortezza e soavità. Il Piamarta nei suoi scritti cita altri santi: Luigi Gonzaga, Caterina Farnese, Alfonso Maria de’ Liguori. I santi del Piamarta non sono ricordati semplicemente per devozione, ma perché sono modelli per le attività apostoliche, essendo stati efficaci nel loro tempo, cambiando in meglio situazioni difficili, con una santità incarnata nell’azione. Sono santi che operarono per la riforma cattolica, agli inizi dell’era moderna, e quindi sono esempio di industriosità per chi si occupa della riforma della gioventù lavoratrice.
Il senso religioso del Piamarta si manifesta anche nella predicazione ai giovani. Don Giovanni non era un oratore, però sapeva suscitare sentimenti di genuino affetto verso Dio. Aveva buona capacità espositiva. La sua oratoria seguiva la pienezza del cuore, ed era viva e sentita, anche se non esteriormente solenne. Predicava convinto e risultava convincente, e sapeva attrarre i ragazzi all’ascolto. «Ciò proveniva da un temperamento tendente all’immaginifico, al grandioso, all’emozionato ed emozionante della sua spiritualità generatrice di una profonda impressione, che non si dimenticava neanche a distanza di anni.
Non aveva manifestazioni esterne solenni o caratteristiche, eppure ci si accorgeva che tutto ilmovimento impresso alle sue opere e lasciato in inconscia eredità ai suoi figli, dipendeva dalla sua interiorità: ariosità, grandezza, vasti orizzonti, mobilità, vita». Nella predicazione egli non si affidava ai predicabili: le sue fonti erano la scrittura, specialmente i fatti dell’Antico Testamento, il Vangelo e san Paolo (i seminaristi lo chiamavano «S. Paolo»), l’agiografia. Egli sapeva far gustare ai ragazzi i fatti religiosi con un linguaggio adatto: amava raccontare, con uno stile attraente e semplice, per richiamare gli esempi dei santi e proporli all’imitazione. A un chierico che si esercitava per la prima volta nella predicazione e si lamentava di aver dimenticato delle frasi eleganti per la predicazione, diceva di non pensare alle frasi eleganti, ma di prepararsi a riflettere su ciò che occorreva dire e, prima di salire sul pulpito, di pregare, e poi di predicare con fede, con semplicità, con dottrina, con carità, e anche con forza.

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