LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

domenica 30 settembre 2012

92 - QUATTRO SCODELLE E CINQUE BOCCHE

 

Chiave di lettura dell'opera

La carità di padre Piamarta, sublime fino alla "dimenticanza" di se stesso,
porta i suoi ragazzi, oltre che ad una grande stima di lui,
anche alla fiducia nella vita ed in se stessi.

Autore dell'opera: Virginio Faggian

91 - UNA SALUTE COMPROMESSA

Brescia, 29 maggio 1909

Da tempo la mia salute vacilla. “Affanno al petto per irregolarità di cuore, sciatica dolorosissima alla gamba destra, ribellione dello stomaco a qualsiasi sorta di cibo, insonnia di notte”: sono diventate la mia costante compagnia. Sono arrivato al sessantottesimo amo di vita e già sento vicina la morte.
“I medici mi hanno imposto un assoluto e rigoroso riposo tanto che durante l’ultimo inverno ho dovuto abbandonare le confessioni al Seminario e alle Suore di Maria Bambina”.
I bravi miei confratelli si stanno preoccupando fin troppo di me. Penso che siano stati loro a convincere il Vescovo di impormi di limitare ulteriormente la mia attività. Infatti egli mi scrive che è suo “vivo desiderio che concentriate la vostra attività nell’Istituto, lasciando le altre opere e specialmente il Confessionale”.

Al Vescovo ho risposto immediatamente:”Il desiderio di V. Eccellenza vale per me un vero comando e perciò non ho esitato un istante a mandare alla Rev. ma Superiora di S. Maria Bambina la mia irrevocabile rinuncia all’ufficio assunto. Solo mi permetto chiedere se devo ritirarmi anche dall’impegno di confessore dei chierici del vicino San Cristo e sarà prontamente obbedito” Il ministero delle confessioni è faticoso, ma quanto bene si può fare! Mi dispiacerebbe lasciarlo del tutto. Ma devo proprio rassegnarmi, anche per un “segno” che mi è capitato in questi giorni.
Stavo ritornando dalle suore di Maria Bambina della Capitanio, quelle fuori città, accanto alla ferrovia Milano-Venezia, quando “venni rovesciato lungo e disteso a terra sotto il cavallo delle suore furiosamente imbizzarrito. L’unico mio pensiero nel cadere fu questo:Ora io sono morto o rovinato per tutta la vita. Con stupore altissimo delle guardie di finanza (eravamo giunti alla prima fermata daziaria) e di un altro gruppo di soldati a cavallo che si fermarono ritenendomi completamente rovinato, videro invece che io mi levai calmo, calmissimo, sine macula. Essi non sapevano persuadersi che io ne fossi risultato incolume, non volevano credere ai loro occhi e dissero che “è un vero miracolo”, e tale lo ritengo io stesso, essendomi trovato disteso sotto la carrozza e al cavallo giovane, ungherese e furioso all’eccesso. Celebrai l’indomani la messa di ringraziamento alla Vergine. E’ un grosso debito che ho contratto con la Madonna delle Grazie”.

Dalla città

Dalla città vengono notizie di segno diverso: in campo politico “si respira alquanto dopo lo splendido successo dei nostri candidati al Parlamento e ce ne ripromettiamo ottimi risultati”. I due primi deputati sono Giovanni Maria Longinotti, cresciuto all’ombre di Padre Bonsignori e Livio Tovini, figlio dell’indimenticabile Giuseppe Tovini. Ma c’è da preoccuparsi per le vocazioni: “Dalla città di Brescia, che fornì sempre alla diocesi un numero copioso di sacerdoti, ora in due anni non ha dato al Seminario che soli due chierici, e dire che conta circa settantamila abitanti: un sintomo desolatissimo” della situazione di Brescia. Ho accolto con soddisfazione la nomina di Monsignor Giacinto Gaggia a Vescovo Coadiutore del nostro Vescovo Monsignor Corna Pellegrini. Di ritorno da Roma, dove è stato consacrato, è stato festeggiato alla stazione ferroviaria di Remedello dal suo compagno di scuola P.Bonsignori, accorso con tutti gli alunni a complimentare il nuovo Presule. Bisogna dire che “la nomina fu da tutti accolta con vera gioia”

sabato 29 settembre 2012

90 - BEATIFICAZIONE DI PADRE PIAMARTA - 12 OTTOBRE 1997

89 - SANTIFICARSI EDUCANDO

“(P. Piamarta) ci parlava dei giovani ch’erano andati crescendo di numero, dei vecchi usciti da tempo, divenuti capi-officina, ottimi operai, padri di famiglia; del ricordo che conservavano per l’istituto, delle lettere che scrivevano. E non taceva dei pochi che s’erano presto dimenticati di tutto e avevano mutato bandiera e non si erano fatti più vivi. Quanto strazio in quelle parole! Egli li ricordava tutti e forse pensava, sperava in un giorno non lontano nel quale sarebbero tornati, avrebbero scritto ancora, si sarebbero ricordati di un’educazione ch’era stata intesa a premunirli contro i pericoli della società.
No! La fama di sacerdote dal cuore grande, ardente, pio che l’aveva circondato, non era né falsa, né esagerata: noi sentivamo in quel momento di doverla credere ancora troppo piccola di fronte alla realtà”.
E’ uno stralcio della commemorazione fatta da La voce del popolo,una settimana dopo la scomparsa di P. Piamarta, che testimonia come dalla sua passione educativa, con i suoi successi e insuccessi, emergesse la sua santità.
Alcune pagine del suo “diario” possono aiutare ad entrare nella sua prospettiva spirituale che vede nell’azione educativa non solo un’attività nei confronti degli altri, ma un’attività nei confronti di se stessi e della propria crescita spirituale.

1. Il primo obiettivo dell’educazione sta nel conquistare i cuori. Ma ciò esige il dominio di sé, della pratica delle mitezza:“Beati i miti, perché possiederanno la terra”. “Oggi non sono contento di me. Ho dovuto riunire i ragazzi e fare un solenne richiamo per un furto avvenuto a danno di uno di loro. Non avendo trovato il responsabile, di fronte all’impressione di omertà, mi sono alterato, ho alzato la voce e ho minacciato castighi, con eccessiva severità. Non posso tollerare che avvengano queste cose, ma non posso tollerare neppure che io perda la pazienza in questo modo, col pericolo di perdere anche la fiducia dei miei ragazzi.

Beati i miti

Vivere a contatto con i ragazzi è una continua provocazione, specie in certi momenti, quando danno proprio l’impressione di voler fare il contrario di quello che dovrebbero fare. In questi momenti si corre il rischio di diventare pessimisti, di vedere solo i loro lati negativi, di considerarli irriducibili, di pensare che si stia perdendo il tempo con loro. Per fortuna ci sono altri momenti dove manifestano il loro volto positivo, che incoraggia e consola. Sempre occorre ricordare che l’educazione è una questione di cuore, dal momento che si riesce ad incidere nella misura in cui si conquista il loro cuore.
“Beati i miti, perché possiederanno la terra”, ha detto il Signore. Beati coloro che sono miti perché possederanno i cuori, che sono la terra su cui siamo chiamati a seminare. Possedere il cuore dei giovani è il punto più alto dell’ educazione, perché essi possono dimenticare molte cose, ma non dimenticheranno mai la bontà illuminata, che conquista. Il mite non deve convincere il giovane che quello che sta facendo ‘lo fa per il suo bene’, perché lo dimostra con il cuore.
Il mio San Francesco di Sales scriveva che “la mitezza è l’amorevole simpatia verso ognuno nelle sue condizioni particolari, nelle sue debolezze e nelle sue necessità quotidiane”.
Per essere buoni educatori non basta esigere che un ragazzo compia il suo dovere, ma dobbiamo comprendere il momento che sta passando e le domande che vorrebbe fare.
Certe ribellioni vengono da bisogni non compresi e non soddisfatti.

Amare, amare, amare..

“Amare, amare, amare” scrive Alessandro Manzoni. Chi ama è paziente, non si lascia amareggiare da qualche risposta impropria, tiene presente il carattere e l’età del ragazzo. Ma come è difficile avere attenzione per tutti e per ciascuno, senza fare differenze e senza correre il rischio di curare il proprio gruppetto di “simpatici”.
Penso che il formarsi un cuore mite, comprensivo e amabile verso tutti, sia non solo un obiettivo del buon educatore, ma anche un mezzo di santificazione personale.
L’educatore si santifica quando è fermo nelle mete da raggiungere e paziente e comprensivo nei mezzi, quando richiede prima a sé quello che domanda agli altri, quando non esige tutto e subito ma sa rispettare i tempi di maturazione, quando cerca di comprendere quello che lo Spirito opera in quella persona, quando non si lascia dominare dalla passione.

Una parola consolante

Proprio oggi il Signore mi ha consolato, facendomi incontrare queste parole di un Padre della Chiesa: “Il Signore non dichiara beati quelli la cui vita è immune da passioni. Il Signore non condanna quelli che soccombono accidentalmente alle passioni, ma chi le coltiva deliberatamente.

E’ connaturale alla nostra debolezza veder sorgere in sé degli impulsi senza volerlo. Felici coloro che non cedono facilmente agli impulsi della passione, ma sanno dominarli” (Gregorio di Nissa).Mi accorgo che devo ripetere più frequentemente: “Gesù mite e umile di Cuore, fa il mio cuore simile al tuo”, perché grazie alla tua mitezza, io possa possedere il cuore dei miei ragazzi per farli crescere secondo i loro talenti e come vuoi Tu”( 23. CONQUISTARE I CUORI)

2. Per educare bisogna crescere nella pazienza e nella fiducia dell’azione di Dio

“Ieri è salito da me un giovane collaboratore, un chierico molto impegnato nell’educazione, alquanto demoralizzato per il comportamento di alcuni suoi ragazzi. Era talmente deluso che voleva gettare la spugna. Tutto gli sembrava inutile. Mi pareva immerso in un mare di amarezza e di sfiducia nella sua e nostra azione educativa. L’ho lasciato parlare a lungo, partecipando alla sua afflizione, che anch’io ho conosciuto.
Poi, sempre facendo tesoro dell’esperienza, gli ho ricordato che i suoi sentimenti erano degni di ammirazione, perché dettati dall’amore. Infatti chi ama si preoccupa, si affligge: "Piangete, amanti, poi che piange Amore", diceva Dante.
Chi non ama a fondo i giovani, non soffre per la loro situazione. Ma chi non sa soffrire, non sa neppure gioire con loro e per loro.

Beati gli afflitti

Questa preoccupazione è buona e gradita a Dio: è cosa buona essere preoccupati e rattristati per la palude che trattiene i giovani. E’ cosa buona soffrire per l’imbarbarimento dei costumi. E’ giusto indignarsi per i cattivi esempi, per le nuove forme di male presentate in forma attraente o come cosa naturale o come comportamento normale.
E’ buono e giusto tentare di reagire, convinti che il progresso non può avvenire solo nel male.
La gioventù, che tutti invidiano, in realtà è l’età più povera, soprattutto perché sovente influenzata dagli esempi facili e devastanti degli adulti.
Se è vero che “bisogna passare per molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio”, è anche vero che chi le affronta con coraggio può dire con San Paolo:“Sovrabbondo di gioia in mezzo alle mie tribolazioni”.
Infatti anche per gli educatori il Signore dice: “Beati gli afflitti perché saranno consolati”

Non vi affannate

C’è anche il detto del Signore: “Non vi affannate”. Non lasciatevi prendere dall’ansia, perdendo la speranza, diventando dimissionari e catastrofici. Un educatore apprensivo non favorisce la trasmissione delle mete positive. Il vangelo è buona notizia perché dice che Dio è presente anche in questa situazione e potrebbe chiederci la sofferta fedeltà alla nostra missione, quale contributo alla loro salvezza. Dio opera silenziosamente: le sue vie non sono le nostre, i suoi tempi non sono i nostri. Occorre fiducia in quest’opera nascosta e silenziosa di Dio. E’ Lui che volge al bene la nostra sofferta preoccupazione, rovesciando le cose. E’ necessario aver fiducia nella forza ‘redentrice’ di questa nostra sofferenza: essa piace a Dio. E’ bene dunque preoccuparsi, ma senza affanno, senza perdere la fiducia nella sua fecondità.

Parlare a Dio

Se è necessario parlare di Dio ai nostri ragazzi, è ancor più necessario parlare a Dio di loro. Pregare per i nostri giovani, con la fiducia di Santa. Monica, alla quale era stato assicurato che: ”è impossibile che si perda un figlio di tante lacrime...” Pregare e poi lasciar fare al Signore: preoccuparsi senza perdere la fiducia nella sua potenza perché e’ Lui che consolerà, che troverà soluzioni, che porterà a maturazione e utilizzerà.

“E tu - ho concluso al mio giovane promettente collaboratore – tu devi imparare a superare questo momento, anche per essere in grado di educare con efficacia i tuoi ragazzi a superare le delusioni che li attendono. Bisogna saper trarre una lezione da ogni sconfitta per aiutare gli altri a non lasciarsi piegare dalla sorte avversa. Mostrati forte, non farti vedere deluso, non abbatterti. Insegnerai con l’esempio che si possono affrontare tutti i guai.
Dio infatti ci consola nelle nostre tribolazioni, perché anche noi possiamo consolare i tribolati”.
(25. DELUSIONI E CONSOLAZIONI)

3.Una educazione vera sa additare le mete, esigendo molta fortezza interiore.


“Mi è stato detto, e più di una volta, che sono un uomo forte. Avverto che lo dicono ora con intento elogiativo per la mia tenacia nel perseguire gli obiettivi, ora con un non troppo velato rimprovero, alludendo al mio carattere considerato inflessibile.
Sapessero quante volte invoco il dono della fortezza per affrontare i problemi quotidiani! Prego per ottenere la costanza e la perseveranza nella missione affidatami, e prego anche per non lasciarmi travolgere dagli eventi. Ogni giorno chiedo umilmente al Signore di poter dire con San Paolo: “Tutto posso in Colui che mi da forza”! Perché “mia forza e mio canto, sei Tu Signore”. La missione dell’ educazione la sento superiore alle mie povere forze umane. Se è vero che l’educazione deve arrivare al cuore e da qui ripartire e se è vero che solo Dio può toccare il cuore, allora è necessario chiedere quel supplemento di aiuto che permette di varcare le soglie del cuore dei nostri ragazzi

Forti nella prova

Prego anche di saper educare i miei giovani alla fortezza, una virtù spesso latitante e fraintesa. Non è fortezza il pretendere di vincere sempre, ma l‘allenarsi ad accettare serenamente gli alti e bassi delle vicende umane, dove non ci sono solo risultati positivi, ma anche i negativi. Se è da forti accettare la competizione, è da fortissimi il saper riconoscere i propri limiti. Non è da forti “piangersi addosso”, per un insuccesso, ma ripartire con realismo e fiducia. “Come si vince a Waterloo”, o “come far tesoro dei propri limiti”, “o come amministrare bene i propri talenti”: sono tutte espressioni di vera fortezza.
A noi non è richiesto di aver sempre successo, ma di far fruttare al massimo i nostri talenti, che sono diversi e complementari. Sovente un insuccesso è più utile di un successo, al fine di conoscere se stessi e stimarsi per quello che veramente si è.

Forti nella fede

Come mi fanno pena i lamentosi e quelli che incolpano sempre gli altri delle proprie disavventure, così mi sento in dovere di scuotere quelli che non hanno il coraggio della propria fede: Trascrivo qui alcuni appunti di predicazione ai miei ragazzi: “Noi cristiani non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio” (1 Cor 2,12). E lo Spirito di Dio ci aiuta a contrastare ciò che piace al mondo. Ecco le massime del mondo che sono agli antipodi di quelle di Gesù Cristo: “il perdonare a chi ci fa del male è una debolezza; moderare l’ambizione è un mancare di coraggio; la gioventù deve correre senza posa la via dei piaceri e soddisfare tutti i gusti”. Ora perché molti ,ma molti, cristiani le seguono? Perché non si ha il coraggio di andar contro corrente; si ha vergogna di rimanere soli. E allora si dice: così si vive nel mondo, bisogna operare con gli altri… Ma noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo che ci invita a non essere schiavi del mondo, a non temerlo, a “disprezzare il suo disprezzo”, a guardare avanti, perché il cristiano è l’uomo del futuro, l’uomo che pensa che il “più” è davanti a noi”.
Il mondo infatti passa e noi passiamo con esso. “Ma chi fa la volontà del Signore rimane in eterno”. Quante volte ho insistito e insisto su questo tasto: il futuro appartiene a chi ha le idee più chiare e a chi è disposto a pagare per queste idee! E le nostre idee sono basate sulle promesse di Cristo!

Una grande storia

Noi abbiamo nella storia della santità una miniera di esempi convincenti di personalità forti e affascinanti. Come erano attenti i miei ragazzi quando narravo gli episodi di eroismo dei martiri, i viaggi e il coraggio di San Paolo, le imprese di Francesco Saverio, l’amore a Cristo di Francesco d’Assisi, la conversione e la sapienza di Agostino. E’ una grande storia da conoscere, da narrare, da far rivivere nell’oggi, da continuare. Come si arricchirebbe anche l’umanità dei nostri ragazzi, così poveri di modelli positivi.
(28. PIU’ CORAGGIO)

4. Comprendere per educare. Pazientare per ottenere frutti, a suo tempo. Essere misericordiosi.
“Ho tra le mani la lettera di un ragazzo, che avevo minacciato di sospendere dall’Istituto, nella quale, tra l’altro, scrive: “Le scrivo per poter riparare al dolore recatoLe colla mia mancanza. Le domando perdono, sperando che non vorrà negarlo ad un povero orfanello, che Lei raccolse in casa sua, il quale in un momento di sventatezza e di spensieratezza si è lasciato vincere da un compagno perverso, disgustando così Lei” . Questi ragazzi mi rubano il cuore. Sono birbanti, sovente frutto dell’ambiente in cui sono cresciuti … me ne combinano di tutti i colori...ma il Signore me li ha affidati così come sono, perché possano sentire un poco di affetto ed essere sicuri che nella vita potranno trovare sempre chi li comprende..
Nei momenti di conflitto circa le decisioni da prendere, quando sono combattuto tra severità e comprensione, mi vengono alla mente le parole del Signore:”Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Come pure mi si fanno presenti considerazioni del libro della Genesi, dove, dopo il diluvio, il Signore stringe un’alleanza gratuita, in cui non richiede nulla al partner umano, perché sa che “l’ istinto del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza ( Gen 8.21).

Una condizione di fragilità

Non solo: ma quando sono tentato di usare le maniere sbrigative, mi sforzo di pensare alla mia adolescenza, alle mie attuali difficoltà nel fare il bene, al mio bisogno di non essere frainteso. E allora come posso non essere comprensivo e misericordioso? Essere misericordiosi è una beatitudine, che rende pazienti e,alla fine. contenti.
Come non essere misericordiosi pensando alla nostra natura ferita e fragile, che proprio per questo è amata da Dio?
E come non essere contenti, quando si sa di partecipare alla stessa pazienza educatrice di Dio?

Non mi sono mai pentito infatti di aver pazientato con un ragazzo. E’ bene riflettere con umiltà che forse quel monello che sembra irriducibile, non ha ancora trovata la sua strada. Per questo raccomando ai miei collaboratori di invocare frequentemente lo Spirito, perché, grazie al dono del Consiglio, si possa essere misericordiosi, senza venir meno alla missione di educare. La nostra grande concittadina, San’Angela Merici, non diceva forse che nell’educazione è necessario sintonizzarsi sull’azione dello Spirito Santo che opera in ogni persona?

Partire dal positivo

E’ più efficace partire dal positivo presente in un giovane, piuttosto che sottolineare con rimbrotti il negativo. Saper incoraggiare prima, di reprimere o correggere. Saper individuare le doti da sviluppare più che richiamare per le mancanze. Il ragazzo va aiutato soprattutto a scoprire le capacità che non pensa di avere, perché acquisti fiducia nelle sue possibilità reali, spesso diverse da quelle sognate.

Educare alla misericordia

Quando spingo i giovani a impegnarsi per essere tra i primi nel loro mestiere, aggiungo anche di non cadere nella trappola della competizione selvaggia e senza misericordia, dove il fine di primeggiare giustifica i mezzi più sleali, spesso a danno dei più deboli. Beato colui che ha cura del debole: il Signore lo libererà nel giorno della sventura!
Signore, aiutami ad educare i miei ragazzi alla comprensione, alla solidarietà, alla misericordia!
(29. MOLTA MISERICORDIA)

Conclusione

Sono solo alcuni tratti di una vita che si santifica nell’azione educativa, così come li sentiva Padre Piamarta. Un discorso meno frammentario e più articolato, potrebbe essere quello più completo delle “Beatitudini dell’educatore”, che permette di mettere in evidenza altri atteggiamenti evangelici. Le Beatitudini infatti dicono come piacere a Dio nelle situazioni più ingarbugliate. E, coi tempi che corrono, le situazioni ingarbugliate non mancano. Ma è vivendo il Vangelo dentro di esse che ci si santifica. E’ una riflessione che va ripresa, proprio a partire dall’esperienza di P. Piamarta.

P. Pier Giordano Cabra

sabato 22 settembre 2012

88 - CENTENARIO DELL'ISTITUTO ARTIGIANELLI - BRESCIA - SECONDA PARTE

87 - CENTENARIO DELL'ISTITUTO ARTIGIANELLI - BRESCIA - PRIMA PARTE

86 - IL TUTTO NEL TUTTO

"Primo incontro con padre Piamarta" di Pier Giordano Cabra

Capitolo secondo

1. Nel cuore del giovane c’è di tutto. E c’è anche il Tutto. Nel cuore del ragazzo Giovannino, il Tutto si “illumina d’immenso”: se Dio è tutto, perché non concentrarsi su di Lui? Se è Lui è Tutto, di che cosa avrei ancora bisogno? Ed ecco un giorno lasciare la casa con un amico, quasi una fuga, tentare la grande avventura di fare gli eremiti sulla Maddalena, la montagna di casa di Brescia, poco al di sotto di mille metri di altezza.Là c’erano delle grotte che si diceva fossero state abitate in passato da eremiti, da persone la cui occupazione era quella di “vivere soli alla presenza di Dio solo”. Salirono furtivi verso l’alto, si fermarono un poco, godettero dell’ampio panorama, ma presto si dissero:”Ed ora che facciamo? Sta venendo sera, non abbiamo nulla da mangiare, comincia far freddo…perché non scendiamo”? E giù di corsa, prima che arrivasse la notte. Giovannino capì che quella dell’eremita non era la sua via, ma che orientarsi tutto al Tutto restava la sua vita.

2. Le ore libere dalla scuola erano molte e a Giovannino,vivacissimo, allegro, trascinatore, piaceva giocare sulla strada e con i ragazzi del suo vicinato. Giocavano alla guerra, si tiravano sassi, si ferivano. Erano in balia dei più spregiudicati. Parlando di questi anni dirà che stava per diventare un monellaccio, “un rompicollo di primo ordine”, se non avesse trovato l’oratorio di San Tommaso che gli impresse la direzione giusta nella vita e gli offrì un divertimento sano, oltre a momenti di istruzione, e a buoni esempi che gli mostravano il lato bello del bene. Soprattutto lo aiutò a scoprire Gesù come il migliore e il più fidato degli amici. Veniva preparato così a comprendere l’importanza dello stare con i giovani, per aiutarli a crescere in un ambiente dove si potessero trovare bene e imparare a fare il bene.

3. Intanto papà e nonno pensano a che cosa farà da grande quel ragazzo vivace e sognatore, dalla salute piuttosto fragile. Si accordano d’ inviarlo a fare il garzone apprendista presso lo Zanolini, un bravo materassaio, che lo inizia alla sua arte. Il ragazzo va volentieri e si fa benvolere. Fa l’esperienza del lavoro ripetitivo, della fatica degli orari, nove dieci ore al giorno, con quella magra ricompensa che si soleva dare, come mancetta, agli apprendisti.

4. Ma ben presto deperisce a vista d’occhio: malnutrito? Ambiente malsano? Non era il suo lavoro? Salute cagionevole? Il suo “padrone” è persona attenta e paterna: si preoccupa della sua salute e lo invia a Vallio, un paese a una ventina di chilometri da Brescia, in mezzo al verde, in una valle salubre, perché cambiasse aria e si rimettesse. Qui, lontano dagli amici e dall’orario di lavoro, comincia ad esplorare i boschi, solo col suo bastone e con i suoi pensieri. Ma sente dentro che qualcuno gli fa compagnia, che l’amico Gesù è accanto a lui e con lui può parlare e con lui può parlare delle cose che gli stanno più a cuore. Senza accorgersi le sue passeggiate terminano nella bella chiesa parrocchiale, dove entra per essere più vicino al suo Amico e sentire ancor meglio la sua presenza. Era lieto per la crescita di questa amicizia e la coltivava con cura.

5. Ma al Parroco di Vallio non sfuggirono quelle ripetute visite in chiesa di quel ragazzo cittadino, magrolino e vivace, che si trovava a suo agio sia nel crocchio dei ragazzi, sia nel silenzio della chiesa. E un giorno lo ferma e gli parla. Un altro giorno ancora … e si convince di trovarsi di fronte ad un ragazzo straordinario, dalle apparenze ordinarie. Vede in lui uno chiamato a fare grandi cose. E gli fa una proposta.

giovedì 20 settembre 2012

84 - PADRE PIAMARTA: TESTIMONE DELL'AMORE DI DIO PER GLI UOMINI - PRIMA PARTE

83 - NIENTE AVVIENE PER CASO

"Primo incontro con padre Piamarta" di Pier Giordano Cabra

Capitolo primo

1. Niente nella vita avviene per caso. Tanto meno nella vita dei santi. A Brescia ci sarebbe stato bisogno, nella seconda metà dell’Ottocento, in piena rivoluzione industriale, di un intervento speciale tra i giovani, ed ecco che il 26 novembre 1841 nasce un maschietto, battezzato il giorno dopo nella chiesa di San Faustino con none di Giovanni Battista, figlio di Giuseppe Piamarta e di Regina Ferrari.

2. Il nostro piccolo Giovanni Battista, dovendo svolgere la missione di sollevare i poveri, nasce povero e cresce in un ambiente povero e sentirà le privazioni della povertà. Avrebbe voluto avere una giacca per meglio difendersi dal freddo, ma deve accontentarsi della maglia di lana fatta in casa dalla mamma. E le scarpe…le belle scarpe…invece solo zoccoli di legno. Dovendo comprendere e sostenere i ragazzi difficili, non ebbe un carattere facile, perché potesse capire che un conto è dire belle parole, un conto è realizzarle. E che per crescere bisogna faticare e spesso lottare contro se stessi.

3. Non era però un caratteraccio, ma un “caratterino” sì: tenace fino ad essere testardo, pronto a scattare e a infuriarsi quando qualche cosa non andava. Ma mamma Regina vigilava e non ne lasciava sfuggire una. Come quella volta che il nostro ragazzino di sei o sette anni, piantò lì la minestra sulla tavola, perché non gli andava. Mamma Regina al mattino dopo gli ha fatto trovare sulla tavola solo quella scodella disdegnata. A mezzogiorno ancora lo stesso piatto e la stessa reazione, così come alla sera, finché il giovane contestatore si dovette piegare e imparare che l’erba “voglio” non sempre è possibile farla crescere nel proprio orto. Imparò che nella vita la prima cosa è saper cambiare se stessi, prima di cambiare le cose fuori di noi. Perché non sempre si possono cambiare o migliorare gli altri o le cose, ma sempre possiamo migliorare noi stessi.

4. La mamma lo conduceva con se alle funzioni nella grande chiesa di San Faustino. Non c’era molta strada da fare, perché abitavano quasi di fronte: dovevano solo attraversare il ponte. Egli partecipava volentieri alle varie cerimonie, anche perché, essendo dotato di una splendida voce, gli era riservato l’onore di fare il solista nel coro della Parrocchiale di San Faustino. La mamma lo conduceva davanti all’altare della Madonna e gli diceva che è Lei la mamma di tutti. Non lo dimenticherà mai e ripeterà mille e mille volte questa consolante lezione, che era diventata una dolce esperienza del cuore.

5. A nove anni la morte passa per la prima volta nella sua vita e gli rapisce la persona più cara, la carissima mamma Regina. Il papà fa il barbiere ed è fuori casa tutto il giorno. E quando rientra alla sera qualche volta ha in corpo qualche bicchiere in più, perdendo di autorevolezza. Dovendo prendersi cura degli orfani, è preparato a provare sulla sua pelle che cosa significhi restare presto orfano, soffrire silenziosamente la solitudine, avvertire di non avere nessuno che si interessa di te, che ti attende in casa, una casa che diventa improvvisamente vuota e silenziosa.

6. Di Giovannino si interessa come può il nonno materno che la sera lo incanta con i racconti della Storia Sacra, cioè con episodi della Bibbia. I racconti del nonno sono stati per secoli come le telenovelas o le fictions televisive di oggi. Si appassionerà tanto a questa Storia che ne diventerà un abile e attesissimo narratore ai suoi giovani, che ricorderanno a lungo gli intriganti racconti, con le incisive conclusioni per la vita.


lunedì 17 settembre 2012

81 - IL MISTERO DI PADRE GIOVANNI PIAMARTA

Quando, poco meno che ventenne, ebbi modo di entrare in contatto con coloro che avevano vissuto con Padre Piamarta (1841-1913), rimasi colpito dal loro entusiasmo nei suoi confronti e dall’ammirazione per la sua indiscussa santità. Ma, ancor più mi stupiva quello che tutti aggiungevano: “Quanto pregava il Padre! Quando giungevamo in chiesa al mattino presto, lui era già là da alcune ore”!
Conoscendo le loro abitudini antelucane, per me orripilanti,e vedendo come si spendevano tutto il giorno, e oltre, attorno ai ragazzi, secondo lo stile del Padre, sorgeva in me la domanda:”Ma quando dormiva il Padre?” Alla quale seguiva spontanea la seconda: “Come riempiva queste ore rubate al dolce sonno”?
Un giorno lessi in uno dei suoi appunti di predicazione questa proposta per me “indecente”, lo confesso, circa un mese di maggio, fatta ai parrocchiani:
“Tutte le mattine ci troveremo alle quattro e un quarto: Messa e poi quattro parole, che non oltrepasseranno i venti minuti. E’ un po’ troppo presto, lo vedo anch’io. Ma il vedervi desiderosi di sacrificare un’ora di sonno per correre a porgere il vostro ossequio a Maria, spinge anche me a fare questo sacrificio. Se dunque venite alle quattro e un quarto, alle cinque e un quarto sarete liberi”.

Questo è stato per me il primo “mistero” di Padre Piamarta.
Una città e una diocesi dinamiche
Giovanni Battista Piamarta era partito povero. Veniva da un quartiere popolare della città di Brescia, stremata dal colera del 1836 e dalle famose Dieci Giornate del 1849. Era nato, fra le due date, nel 1841 e a nove anni era restato orfano di mamma, rimanendo praticamente abbandonato a se stesso, facendo l’esperienza della strada, dove il suo piglio creativo e di trascinatore lo aveva fatto quasi un capobanda. Si salvò, racconterà lui stesso, per aver trovato nell’oratorio San Tommaso delle guide sagge che lo indirizzarono a comprendere la bellezza del bene e della sana allegria.
Fece la dura esperienza dell’apprendista, poi della benevolenza di benefattori che lo aiutarono negli studi.
Divenuto sacerdote a 24 anni, dopo pochi anni di servizio in parrocchie di campagna, passa a dirigere l’Oratorio della centralissima Parrocchia di Sant’Alessandro.
Sono i tempi delle grandi tensioni tra Stato e Chiesa,dell’acuirsi dell’anticlericalismo, dell’inizio della fuga dalle povere campagne verso la città o verso Paesi lontani e per Brescia, dell’incipiente industrializzazione.
Qui dimostra di conoscere bene l’ambiente dei giovani,specie quelli che nei quali vedeva rivivere la sua sofferta storia personale. Si immedesima con i loro problemi e comprende d’essere stato chiamato ad aiutarli a crearsi un futuro degno dei figli di Dio.
Era rimasto colpito dalla conclusione della parabola dei talenti, là dove il Padrone condanna duramente il servo che non aveva trafficato il proprio talento, per timore di perderlo.
E aveva subito tratto la conclusione che non doveva reprimere le sue energie,specie la sua riconosciuta intraprendenza, ma era suo dovere metterle al servizio di Dio.
“A Dio si va per addizione, non per sottrazione.” amava ripetere con il suo Francesco di Sales, perché bisogna orientare tutti i propri talenti verso di Lui e verso i fratelli.
Sa di essere povero e di poter far ben poco da solo. Ma sa che con Dio nulla è impossibile.
E prega, prega, per non essere un servo pigro e inutile.
E un giorno sale a San Cristo, il seminario per i chierici poveri, aperto dall’amico don Pietro Capretti,un santo prete, colto, vera anima dell’incipiente movimento cattolico bresciano,inteso “a ridare Dio alla società e la società a Dio”.
Qui saliva anche il Beato Giuseppe Tovini, promotore instancabile di opere sociali, soprattutto dell’educazione cattolica in Italia.Qui saliva anche Giorgio Montini destinato a diventare il capo indiscusso del laicato cattolico, uomo dalle larghe vedute, respirate in famiglia dal figlio Giovanni Battista.
Qui salivano anche eminenti ecclesiastici quali Geremia Bonomelli, futuro vescovo di Cremona.
Dai colloqui con l’amico Capretti, il cuore di questa fucina di idee e di iniziative, nasce il progetto dell’Istituto Artigianelli, aperto per aiutare i giovani poveri a inserirsi nel mondo del lavoro.
Seguiranno poi la fondazione della celebre Colonia Agricola di Remedello Sopra, grazie alla collaborazione di P.Giovanni Bonsignori, l’apostolo della nuova agricoltura, l’Editrice Queriniana, la fondazione delle Congregazioni Sacra Famiglia di Nazareth e, assieme a Madre Elisa Baldo anche della Congregazione delle Umili Serve del Signore.
Una via irta di triboli e spine
Con l’Istituto Artigianelli, nascerà una vera cittadella del lavoro, che offrirà delle maestranze qualificate alla nascente industria bresciana. Deve pensare a tutto ed è solo: ma come fare a respingere la domanda di una madre rimasta vedova che supplica di dare un futuro sicuro al figlio? Come non ascoltare l’accorata presentazione di un parroco che gli porta dei ragazzi rimasti privi di entrambi i genitori? Come non trovare un posto per quel ragazzo dall’apparenza spavalda, ma che non sapeva dove andare a dormire la notte?
Vive con loro e per loro, pensando al loro futuro di lavoratori preparati, di cittadini leali, di cristiani convinti.

Scriverà verso la fine della sua vita: “Ho cominciato quest’opera e i contrasti e i dolori, le disillusioni e le indifferenze e gli abbandoni anche per parte di persone su cui si era fondato tutto l’appoggio morale e materiale, furono il mio pane quotidiano e continuano più che mai ad esserlo tuttora”.
“I dolori e le traversie d’ogni fatto, sono un pane avanzato dalla tavola di Gesù Cristo. Ed io in questi giorni, sto mangiandone la parte più dura”.
“Ma le opere di Dio non prosperano che all’ombra della croce ed anche a volere che esse diano frutti copiosi, conviene che noi le andiamo innaffiando dei nostri sudori, delle nostre lacrime e perfino del nostro sangue: basta guardare a Gesù” .

Inserito nel suo tempo
Nonostante la mole massacrante di lavoro, non si astrae dal suo tempo, sempre attento al nuovo, guardando sempre lontano, con l’occhio al bene delle anime.
Si indigna per gli ingiusti attacchi al Cardinal Ferrari,depreca l’intromissione del clero in politica “causa del decadimento dello spirito sacerdotale”, fa da tramite tra il potente ministro Zanardelli e il Vescovo Bonomelli, considera grande quest’ultimo per i suoi scritti, ma grandissimo quando fa atto di pubblica sottomissione al Santo Padre.
Dalla sua tipografia “Queriniana” esce tutta la vigorosa stampa cattolica Bresciana, polemica nei confronti del governo liberale, combattiva nei confronti del socialismo irridente alla religione, coraggiosa, alla quale non pone limiti prudenziali per timore di ricatti verso il suo Istituto.
Una delle prime opere di editore è stata la pubblicazione di un libretto sul Matrimonio cristiano, tradotto dal francese, in occasione delle nozze dell’avvocato Giorgio Montini.
Per i giovani pubblicherà innumerevoli edizioni de Il giovane studente dell’amico Geremia Bonomelli. E poi varie collane di testi teatrali, di buoni romanzi, di letture per il popolo e per biblioteche popolari.

Tiene una fitta corrispondenza, raccolta in un volume di poco meno di mille pagine, dove si alternano problemi educativi e questioni economiche, lettere con missionari e con ex alunni, direzione spirituale e consigli di grande saggezza.
Pubblica il periodico La famiglia agricola, assai apprezzata dai parroci del tempo, dove P. Bonsignori sensibilizza alla missione storica di promozione umana da parte del prete nelle campagne.
Per i suoi ragazzi fu un condottiero dal cuore di mamma: li dirigeva verso la vita educandoli al lavoro e attraverso il lavoro,con il senso del dovere e con lo stile ilare e persino scanzonato di San Filippo Neri, modello di un’educazione attenta a rendere simpatica la vita cristiana, permettendo al giovane d’essere giovane.

Come ha potuto reggere?
Venendo a conoscenza di una biografia di questo genere, aumentava in me la curiosità, di sapere come potesse reggere a un ritmo simile di vita.
Un giorno scoprii che aveva un debole per Santa Teresa, che considerava sua maestra d’orazione e non solo perché Teresa sosteneva che il frutto dell’orazione erano opere e opere, ma perché Teresa aveva detto due cose essenziali che mi aiutavano a rendere meno astratto il mio avvicinamento al mistero Piamarta:
La prima che la preghiera è un ritirarsi nel ‘castello interiore’, assieme al ‘Re sconfitto’ per attingere alla potenza di Dio e così riprendere coraggio e vigore per resistere e ripartire con Lui alla riconquista del mondo.
Ecco che cosa faceva Padre Piamarta, alzandosi al canto del gallo: ritirarsi nel castello interiore, davanti al Santissimo e alla grotta della Madonna di Lourdes, per attingere alla potenza di Dio!
E ripartire alla conquista del cuore della gente, specie dei suoi ragazzi, per ricondurli alle sorgenti della vita, con sempre nuove strategie e sempre rinnovate energie.
La seconda: “Metti gli occhi sul crocifisso e tutto ti sembrerà poco. Sapete che cosa vuol dire essere davvero spirituali? E’farsi schiavi di Dio, segnati dal suo marchio, il marchio della croce. Così ci potrà vendere come schiavi di tutti, come fu Lui”.
Quanto meditava Piamarta sul Crocifisso! Quando parlava del Crocifisso lo faceva con le parole infuocate e il cuore ardente dell’apostolo Paolo, tanto da meritare il nomignolo di “San Paolo”.
Così poteva scendere le scale della sua belle chiesetta e immergersi nella pasta non sempre malleabile del quotidiano, dove lo attendevano caratteri difficili con cui collaborare, creditori impazienti,maestri d’officina che richiedevano macchinari più efficienti, ragazzi particolarmente problematici da seguire, richieste impossibili da soddisfare,consigli da dare, muratori da dirigere, genitori da consolare,contratti da firmare, lui che era considerato “un poeta dell’economia”…E poi, cosa per nulla secondaria, quel suo carattere bresciano impulsivo e sbrigativo da tenere continuamente a bada, in mezzo a quel rumore delle officine, a quel cumulo di impegni, a quella fretta micidiale!

Quel mistero
E così ha potuto realizzare quanto aveva chiesto come dono nel giorno della sua prima Messa: Signore, fa che io non sia un servo pigro e inutile!
Chiese di essere lo schiavo del Signore, per essere servo di tutti, specie dei suoi giovani.
Quante volte ho pensato: “Ma questo è il mistero della santità”.
Ed ora che la Chiesa l’ha riconosciuto, mi sento più lieto e un poco orgoglioso di averlo conosciuto, anche se per interposte persone.
Orgoglioso, ma non troppo, perché la Chiesa mi dice anche “Fa anche tu questo e vivrai”!
Ma quelle levatacce ?
Non sono per tutti, è vero, ma non sarà anche per questo che tu non sei santo ?

Pier Giordano Cabra

domenica 16 settembre 2012

80 - UNA PREGHIERA


Oggi, Signore,


di fronte all’arduo compito dell’educazione,

ti prego per i miei ragazzi.

Io ho fatto per loro quel poco che potevo

e Tu fa per loro tutto quello che vedi necessario.

Non abbandonarli a loro stessi o alle forze del male, talvolta tanto seducente.

Fa’ loro comprendere che quello che facciamo per loro è per prepararli alla vita.

Rendili contenti quando fanno il bene, quando sono laboriosi e onesti

e quando onorano il nome cristiano.

Metti nel loro cuore una sana inquietudine quando fanno cose errate.

E ridona la pace, quando riconoscono d’aver sbagliato e riprendono il giusto cammino.

Manda il tuo angelo perché il loro piede non inciampi ma prosegua sicuro

sulla via che porta alla meta, dove Tu ci attendi.

Amen

sabato 15 settembre 2012

79 - PIAMARTA - POLITTICO

 



Chiave di lettura dell'opera

Le opere e i giorni del Beato Piamarta: bambino fuggitivo della città per "fare" il piccolo eremita, inizio di un'opera minuscola per quattro apprendisti, fondatore di una Casa Editrice, iniziatore e animatore di una scuola agraria che sarà famosa.

Autore dell'opera: Gianmaria Ciferri

78 - I "SUOI" GIOVANI, PER SEMPRE


Liberi. Forti. Retti. Anticonformisti. Carismatici. Trascinatori. Generosi. Disponibili. Onesti cittadini. Responsabili. Fidati. Impegnati. Solidali. Rispettosi. Ligi al dovere. Fieri di essere cristiani. Sognatori con i piedi per terra. Sensibili alle necessità degli altri. Allegri, allegri, allegri. Vivaci. Ambiziosi. Gioiosi. Ottimisti. Speranzosi. Determinati. Grintosi. Benevoli. Volenterosi. Buoni. Capaci di pregare. Così vuole i giovani di ieri, oggi e domani padre Giovanni Piamarta. Anzi, san Giovanni Piamarta.
Domenico Agasso in "i giovani al primo posto"
 

venerdì 14 settembre 2012

77 - LA GRANDE FIAMMA - SECONDA PARTE


Film documentario degli anni Cinquanta 
sulla vita e le opere di Padre Piamarta.

76 - LA GRANDE FIAMMA - PRIMA PARTE


Film documentario degli anni Cinquanta
sulla vita e le opere di Padre Piamarta.

75 - I COMANDAMENTI DI PADRE PIAMARTA PER I RAGAZZI DI OGGI


1. Vivi con fiducia: Dio ti sta amando e ti amerà sempre e comunque.

2. Felicità non è evitare la fatica, ma avere davanti un traguardo che ti rende migliore

3. Tu non sarai mai importante per il posto che occupi, ma per la persona che sei.

4. Vale mille volte di più un atto di onestà che una montagna di soldi.

5. E’ più forte chi perdona di chi si vendica.

6. Nella vita riuscirai a imparare solo quello che amerai.

7. Quello che ricevi senza pensare, di solito diventa pericoloso per la salute dell’anima


    e del corpo.

8. Il tuo tempo sei tu: impara a riempire di cose buone ogni attimo di vita.

9. Non cercare Dio troppo lontano, perché il suo Spirito è anche dentro di te.


10. La perfezione non è essere tu il centro di tutto, ma riuscire a dare tutto per amore.

11. La solitudine non è un problema se dentro di te hai qualcosa di grande.

     Non potrai mai essere tanto povero da non avere dentro di te almeno un po’ di amore

     da regalare.

12. Solo quando vinci la paura potrai dare veramente il meglio di te.

domenica 9 settembre 2012

74 - BEATO GIOVANNI PIAMARTA

73 - PREGHIERA AL BEATO GIOVANNI PIAMARTA

O Dio misericordioso che hai suscitato nel Beato Giovanni Piamarta, sacerdote illuminato e fervente, la sollecitudine per l'educazione dei giovani alla vita cristiana nel lavoro, nella famiglia e nella società, concedi che, per sua intercessione, possiamo vivere e operare nel tuo amore provvidente di Padre, e sentire la forza del tuo aiuto per conseguire la beatitudine eterna.

Per Cristo Nostro Signore. Amen


sabato 8 settembre 2012

72 - LA GUARIGIONE DEL CIECO

 

Chiave di lettura dell'opera

Padre Giovanni Piamarta con le sue opere di carità senza confini, può essere una mano e una voce che desta gli occhi per vedere. Davanti alla porta del cuore ci sono giovani che hanno una pretesa: incontrare un Piamarta, che è tutto per loro, sa farli crescere.

Autore dell'opera: Oscar Di Prata

71 - COMMENTO ALLE LETTURE DEL MESSALE

Le note biografiche sono riportate sul Proprio dei Santi Bresciani

Prima lettura

Gal 6,14-16

“Non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”
Nelle tribolazioni e nelle croci, non poche né piccole, San Giovanni Piamarta ha mantenuto la sua fiducia e
serenità di fondo, sapendo di partecipare alla croce del Signore.

a) Egli ha la certezza dell’aiuto del Signore, data la bontà dell’opera: “Spesso mi sento schiacciato sotto un peso enorme di pensieri, di occupazioni e tribolazioni: tutte cose inerenti all’opera che ho tra le mani e che avendola con amore abbracciata, per amore di Dio e per la salvezza della povera gioventù, oggi più che mai esposta a gravissimi pericoli, il Signore mi è largo del suo aiuto, onde possa portare lietamente il peso di questa grande croce”.
Il Padre sa di operare per amore di Dio e della gioventù. Sa quindi di poter confidare nell’aiuto del Signore.
Egli che recitava i Salmi, faceva proprie le parole del Salmo responsoriale: “Sei tu, Signore tutta la mia forza”.

b) Le difficoltà sono un segno che l’opera viene da Dio e quindi vanno portate avanti con coraggio
“Le contraddizioni anziché smuovere la nostra costanza, devono fortemente rinvigorirla, perché la contraddizione è caparra del successo dell’opera. Bisogna diffidare sempre da ogni impresa buona non contrariata. Quando il nemico del bene non si curasse di attraversare le nostre iniziative, sarebbe indizio che non gli fanno troppa paura”.
Parole impressionanti, ma piene di fiducia, che sostengono la fortezza.
Parole che fanno eco a quelle di San Paolo scritte ai Romani: “Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rom 12,12).(Rom 12,12).
Le molte tribolazioni sono spesso una conferma della bontà d’una iniziativa di bene. E quindi, invece di demoralizzare devono sorreggere la costanza e il coraggio della perseveranza.

c) Le difficoltà tengono umili: “Non mancano tribolazioni di vario genere e non sono poche né lievi; anche di questo benedico il Signore, perché mi servono mirabilmente a tenermi sempre molto ma molto basso”.
“Signore non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo…Sei tu Signore tutta la mia forza”.

Vangelo

“Tutto quello che avete fatto ai miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
“La vostra opera di educatori richiede un grande spirito di sacrificio e voi non dovete fuggire dai pesi : accogliere la gioventù, sorvegliarla, darle consigli, correggerla, istruirla, sono un continuo esercizio di rinuncia a se stessi e di estrema pazienza che a suo tempo darà frutti copiosi di virtù. E ricordatevi: “Chi accoglie uno di questi piccoli, accoglie il Signore”.
Padre Piamarta aveva una particolare sensibilità per le reali necessità dei giovani, essendo stato orfano e avendo partecipato da vicino alle difficoltà dei più poveri nell’inserirsi nella vita. Il Signore lo chiamava ad educarli al lavoro, cioè insegnare un’arte, e assieme a formare i loro cuori all’onestà e al senso cristiano del lavoro, come pure all’amore maturo capace di creare una famiglia e di tenerla unita.
Per raggiungere questi obiettivi impegnativi, onerosi, ha coltivato la consapevolezza di essere chiamato a servire il Signore nei suoi ragazzi. “Non posso vantarmi d’aver fatto del bene, perché devo chiedermi prima se ho servito Lui o se ho promosso la mia immagine, se ho servito anche quando comandavo o se ho comandato anche quando dicevo di servirlo”.

“Sono lieto d’avere spesa la mia vita per i suoi figli più poveri, che certamente mi aiuteranno a varcare le porte del Paradiso, perché quelle chiavi benedette le posseggono loro i piccoli con i quali si è identificato il Signore della gloria.
Aver vissuto con loro, mi ha aiutato a restare giovane, aver lavorato per loro mi ha fatto sentire padre, aver tribolato per loro, mi ha dato la gioia di vederli sorridere.
Ma soprattutto l’averli amati, mi ha dato la certezza d’avere amato Te, o mio Signore, che mi hai amato sino alla fine” (Dal “Diario” di Padre Piamarta, p. 214)

70 - LOGO DE LA CANONIZACION DE PADRE PIAMARTA


Las dos P, iniciales de Padre Piamarta, se transforman en el abrazo del Padre (primera P) a un joven (segunda P). Un abrazo paterno y materno, que no se fija en los méritos de nadie, sino que hace nacer el pan y el trabajo (el casco y el pan a los pies de las dos PP), fuerza de vida y canto de alegría.
Todo esto está a la sombra de la cruz que fue luz para Padre Piamarta y de la cual tomó fuerza ... para escribir toda su vida (firma).
Los colores del círculo y de la cruz son cinco y representan las cinco naciones donde los hijos de Padre Piamarta continúan su misión y su obra (Italia, Brasil, Chile, Angola y Mozambique). Uno de los círculos está abierto al deseo de vivir como Piamarta en la vida de la Oración y del Trabajo (Pietas et Labor).

69 - DONARSI

Da "i pensieri di padre Piamarta"

Dobbiamo essere come una candela che si spegne e si consuma un poco alla volta, consumandosi per servire il Signore che è il suo Padrone. Dobbiamo essere come il sale che si consuma dando il suo sapore al cibo. Quanto dovremmo essere felici, se la nostra vita si consumasse come una candela, se si sciogliesse come il sale e questo lo facesse per amore di Dio.


La nostra vita, a volte, è simile alla vigna già vendemmiata da cento mani. Ebbene, voglio dare a Dio, che è il nostro Padrone e Signore, quei quattro grappoli di uva che sono rimasti lì dimenticati.


Imitiamo l'esempio mirabilissimo di S. Paolo Apostolo che, essendo per natura severo, burbero, asciutto, quando si lasciò vincere dall'amore di Cristo, divenne tutto a tutti per acquistare anime a Gesù. Imitiamo anche S. Francesco di Sales che si adattava ad ogni condizione di persona per guadagnarli a Gesù.

domenica 2 settembre 2012

68 - LA FAMIGLIA DI PADRE PIAMARTA

 

Chiave di lettura dell'opera

Padre Piamarta è il chicco di grano che porta frutto: ha seminato la carità.
La sua Famiglia è grande e il suo nome è scritto nel libro dei "Beati".

Autore dell'opera: Mario Gilberti

67 - OMELIA DEL CARD. CARLO MARIA MARTINI IN ONORE DEL BEATO PIAMARTA - PARROCCHIA S. GEROLAMO EMILIANI DI MILANO - 07 Marzo 1999

Un fulgido esempio di carità evangelica
Ritorno sempre volentieri e con gioia in questa parrocchia per rivedere molti amici, per rallegrarmi della vostra fede e della vostra vitalità spirituale per partecipare agli intenti, ai progetti, ai sacrifici della Comunità religiosa che regge la parrocchia e per compiacermi del suo impegno educativo. Oggi, però, mi porta in mezzo a voi una circostanza particolare: onorare la figura del fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth, il beato padre Giovanni Piamarta. A lui dunque mi ispirerò nel riflettere sulle letture della messa. E ringrazio cordialmente il superiore generale della Congregazione per le parole di accoglienza, come pure il parroco che ha ricordato la mia ultima visita pastorale, tutti i religiosi, i sacerdoti, e i fedeli presenti.
Ma prima di iniziare l’omelia vorrei ritornare per un momento al 23 febbraio scorso, quando qui si è tenuto il funerale di Luigia Bonetti Eberini; un evento doloroso che ha turbato la nostra città e per il quale ci siamo uniti al cordoglio dei familiari, dei parenti, della parrocchia stessa. Molta gente ha partecipato al rito funebre insieme alle autorità civili e religiose, quasi a sottolineare l’urgenza di combattere una piaga che affigge la periferia di questa metropoli: la devianza giovanile, la criminalità. Perciò condivido l’azione educativa forte e coraggiosa del padre della Sacra Famiglia, nella certezza che solo educando con coraggio è possibile guardare all’avvenire con maggiore fiducia.
Voi conoscete già l’aureola di santità che si respira a S. Gerolamo Emiliani: penso al beato Calabria e al beato Piamarta; al beato Cardinale Schuster e al cardinale Montini, che hanno voluto il centro e la parrocchia. In questo momento di preghiera e di ringraziamento al Signore, essi ci accompagnano certamente dal cielo con altri fondatori di Congregazione religiose operanti nel territorio. Mi piace dunque richiamare anzitutto le parole pronunciate dal papa Giovanni Paolo II nel discorso per la beatificazione di padre Piamarta: “l’opera apostolica del novello beato è poliedrica e abbraccia molti campi del vivere sociale: dal mondo del lavoro a quello agricolo, dall’educazione scolastica al settore dell’editoria. Egli ha lasciato una grande impronta di sé nell’intera Chiesa”. Chiedendosi poi dove padre Piamarta attingeva l’energia per svolgere la sua molteplice attività, il papa rispondeva: “la preghiera assidua e fervorosa era la sorgente dell’ardore apostolico instancabile e dell’attrattiva benefica che esercitava su tutti coloro che avvicinava”.

Il richiamo della grazia
La preghiera, infatti, aveva attratto il nostro beato fin da bambino, quando frequentava l’oratorio della sua parrocchia di Brescia, dedicata ai S. Faustino e Giovita. Nato nel 1841 da una famiglia di modeste condizioni, in tempi di grave povertà, di epidemia, di forti tensioni politiche e sociali, entra a 19 anni in seminario, dove si distingue subito per la profondità della sua vita spirituale, per il suo amore ardente a Gesù, che alimentava nella contemplazione dell’Eucarestia. Ordinato prete, avverte interiormente il richiamo a dedicarsi ai giovani, specialmente ai più poveri, ai giovani del mondo del lavoro, per prepararli a costruire il proprio futuro attraverso la competenza professionale e il senso di responsabilità verso la famiglia e la società. Convinto che la famiglia è il fondamento di una società, e che occorre risanarla, Piamarta farà dei giovani, del mondo del lavoro e della famiglia i tre pilastri di tutta la sua attività. Un’attività che sarà sempre espressione di una carità animata dalla fede. Per meglio comprendere come viveva la fede e la carità, riprendo brevemente le tre letture della Messa di questa III domenica di Quaresima.

Assoluta fiducia in Dio
La prima lettura, dal libro dell’Esodo è una stupenda e antica professione di fede da parte di Mosè. Dio viene presentato alla nostra contemplazione col volto di un Padre misericordioso e pietoso.
Ebbene, tutta la vita del beato Piamarta è un inno di fede fiduciosa e di abbandono sereno al Dio fedele. Scrive nel testamento: “Essendo la nostra istituzione sorta mediante una specialissima, per non dire totale opera della Provvidenza Divina, essa va rigorosamente mantenuta e conservata sempre col pieno intervento suo”. E nutriva questa fede col colloquio ininterrotto col Signore, sempre unito a Lui per donarsi ai fratelli.

Spirito di figliolanza
Anche la seconda lettura, tratta dalla lettera di san Paolo ai Galati, insiste sull’importanza della fede: la salvezza – sottolinea l’apostolo – viene dalla fede. Esalta quindi la fede di Abramo che va verso l’ignoto con la benedizione di Dio. Padre Piamarta viveva questo spirito di figliolanza, e la sua spiritualità si sintetizza nel binomio: “Pietas et labor”. La pietà lo spingeva a pregare volentieri, intensamente, a lungo. Soleva dire una frase che dovremmo tutti ricordare: “se non faccio almeno tre ore di preghiera al giorno, non sarei in grado di affrontare tutti i pesi della giornata”. Tante volte ci lamentiamo dei paesi della giornata! Probabilmente, se pregassimo di più, avremmo maggiore forza per affrontarli.

La libertà di Gesù
Infine, richiamo la pagina evangelica che presentava lo scontro tra Gesù e coloro che non sono capaci di credere a lui che proclama di essere la verità. Gesù ci appare, in questo testo, come uomo libero, sciolto, sereno perché sa di essere una sola cosa col padre, e traduce la sua libertà in capacità di amare, di dedicarsi, di donarsi. E Gesù ci chiede di entrare nella sua libertà, nel suo progetto.
Padre Piamarta vi è entrato e poteva così scrivere: “Siate docili, umili, sempre uguali nella disuguaglianza degli avvenimenti … La società ha bisogno di figli disinvolti e aperti, non di devoti concentrati, misantropi e scrupolosi, che non sono buoni né per sé né per gli altri …”
Dopo aver cercato di evocare la figura di questo grande sacerdote e fondatore, mi chiedo quali parole rivolge oggi alla vostra comunità, alla vostra parrocchia impegnata nel cammino di conversione quaresimale, impegnata nella preparazione al Giubileo del 2000. Mi chiedo anche quali parole dice oggi ai religiosi della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth che rivivono la memoria del beato.Mi pare che alla parrocchia dica: siate sempre più una chiesa che proclama il primato assoluto di Dio in Gesù Cristo, che vive una fede colma di speranza. Siate una parrocchia dove si prega e si insegna a pregare, a cantare la lode di Dio, a mettere al primo posto il servizio del Signore. Potrete allora crescere nella carità e servire la società affrontando con serenità, libertà e coraggio le sfide del terzo millennio.
Ai religiosi di padre Piamarta – che ringrazio vivamente sia per la dedizione pastorale in parrocchia sia per l’impegno nel Centro di formazione e nel Centro socio-educativo – il nuovo beato dice: Ravvivate ogni giorno il vostro carisma nella preghiera davanti al tabernacolo, così che possiate sempre dare una famiglia a chi non l’ha; educare i giovani a valorizzare la famiglia in cui sono inserit e a formarne una propria; educare le famiglie a essere veramente tali coinvolgendole nell’attività educativa.

Due messaggi per voi
E vorrei concludere con le parole di Monsignor Bonomelli – un grande Vescovo di quegli anni – che era stato professore di padre Piamarta: “Piamarta è il sacerdote che i tempi nuovi richiedono: non curante di sé, solo attento al bene altrui senza distinzione, specialmente della gioventù; alieno dalle lotte partigiane e politiche, pronto a stendere le mani a tutti, a dimenticare le offese e a vendicarsene con i benefici”. E’ questa la pienezza della carità che rifulge nel cuore del vostro beato fondatore e che egli vuole insegnare a ciascuno di noi.

sabato 1 settembre 2012

66 - DON PANCRAZIO PEZZANA


Parroco di Vallio (Bs)


Al Parroco di Vallio non sfuggirono quelle ripetute visite in chiesa di quel ragazzo cittadino, magrolino e vivace, che si trovava a suo agio sia nel crocchio dei ragazzi, sia nel silenzio della chiesa.
E un giorno don Pancrazio Pezzana lo ferma e gli parla. Un altro giorno ancora … e si convince di trovarsi di fronte ad un ragazzo straordinario, dalle apparenze ordinarie.
Vede in lui uno chiamato a fare grandi cose. E gli fa una proposta.
“Tu hai molte belle qualità”, comincia a dirgli il Parroco don Pezzana, “e potresti utilizzarle a fare tanto bene”. Il ragazzo Piamarta è un tipo svelto e deciso: “Sì, mi piacerebbe farmi prete, ma sono povero e non saprei come fare”. “Troveremo una soluzione… Intanto comincia a prendere in mano i libri… Ti farò io da maestro”.
Don Pancrazio Pezzana mantenne la parola: gli fece da maestro (e ne aveva tutti i titoli e l’esperienza), gli procurò i libri e ne parlò ad una Signora, rimasta anonima, che gli pagherà regolarmente gli studi sino alla fine.

65 - PADRE PIAMARTA AGLI ARTISTI BRESCIANI

Cari artisti,
benvenuti al mio Istituto Artigianelli iniziato 125 anni fa e tuttora, grazie al cielo, in buona salute. Vi dico la mia gioia di vedervi qui e vi esprimo con semplicità i motivi della mia soddisfazione:

1. Ho sempre amato l’arte, in tutte le sue espressioni:
- a partire dalla musica, alla quale sono stato avviato per la mia bella voce, che mi permetteva di essere il solista più gradito del grande coro di San Faustino.
Doveva essere una caratteristica ereditaria della mia famiglia, perché mio fratello ha girato il mondo, cantando in teatri lirici da apprezzato baritono.
In famiglia avevo anche un cugino, col quale eravamo in perfetta sintonia, Giuseppe Tebaldini, affermato musicologo, maestro di Cappella a San Marco a Venezia e a Loreto, uno dei protagonisti della riforma della musica sacra in Italia, assai stimato da Papa Pio X, oltre che da Giuseppe Verdi.
E con la musica ho educato centinaia di ragazzi, sia avviandoli al canto corale, sia attraverso la celebre banda musicale degli Artigianelli, grazie agli ottimi maestri come Pietro Corvi e Francesco Andriotti.

- E, nonostante le ristrettezze economiche, ho costruito una chiesetta “artistica”, affidandone la progettazione all’architetto Arcioni, che ne ha fatto un vero gioiello di elegante sobrietà.

- Al termine di questa auto elogiativa presentazione, devo anche confessare che c’è un aspetto dell’arte che ho dovuto ben presto abbandonare: quello d’essere un “poeta dell’economia”. Ho dovuto misurarmi con la dura prosa dell’economia del quotidiano, per salvare le alte e veramente poetiche finalità dell’opera. Ma anche la prosa non può diventare un’arte?

2. Il nome dell’Istituto Artigianelli stesso è eloquente: volevo formare, attraverso il mio Istituto, degli artisti nel loro lavoro. Questo è stato possibile finché si sono formati degli artigiani, alcuni dei quali sono diventati dei veri e propri artisti del legno e del ferro: cancellate e intagli di pregio sono usciti dai miei laboratori e impreziosiscono tuttora non poche case della città di Brescia.

3. Ai miei ragazzi inculcavo il desiderio di realizzare opere d’arte attraverso il loro lavoro. La materia, legno ferro e altro, nelle loro mani doveva prendere la parola, diventare eloquente, grazie alla bellezza della forma che si univa all’utilità dell’oggetto. Facendo amare il bello, mettevo le basi perché amassero il loro lavoro: dovevano trovare la gioia nella loro attività, la realizzazione di sé nel lavoro ben fatto, trovare anche la soddisfazione del risultato gratificante, dopo una paziente dedizione.

4. Ho sempre considerata la creatività come la partecipazione più connaturale all’opera della Creazione, che è stata affidata alle nostre mani per essere continuata, attraverso l’ordinamento armonioso dei vari elementi.
Dicevo spesso ai miei ragazzi: vi auguro al termine di ogni lavoro di poterlo guardare con gli occhi soddisfatti di Dio , che vedendo quello che aveva fatto, poteva dire che era “Cosa buona e bella”.

5. Li portavo con la mente e con il cuore anche a Nazareth, per incontrare Gesù,“il divino artigianello”, che nella bottega di Giuseppe, sudava e faticava, per insegnare che il sudore della fronte non è solo maledizione, ma anche costruzione della persona e risorsa per vivere dignitosamente. E che le cose belle non si improvvisano, né sono il frutto del “tutto e subito”: Che Gesù sia stato trent’anni nascosto a Nazareth per brillare poi per tre anni, diceva la necessità del lungo tirocinio.

6. Ho avuto sempre bisogno di bravi collaboratori che insegnassero non solo un’arte, ma anche la passione per l’arte. Un’arte che permettesse di guadagnarsi da vivere, certo, ma che non si limitasse all’aspetto economico, guardando anche all’utilità sociale di un “lavoro ben fatto”

7. Posso dirvi che questo Istituto, assieme a quella di Remedello, dove abbiamo raggiunto, P. Bonsignori ed io, anche i ragazzi della campagna, mi è costata moltissimo sotto tutti i punti di vista: sono partito povero, mi sono dedicato ai poveri contando solo sull’aiuto della Provvidenza, passando ore e giorni terribili di solitudine, di “triboli e spine”, di delusioni e di difficoltà d’ogni specie. Ma mi sentivo felice quando potevo constatare che i miei ragazzi avevano fatto della loro vita un’opera d’arte, crescendo umanamente e cristianamente, cioè “davanti agli uomini e davanti a Dio”. I miei occhi si riempivano di commozione quando constatavo che avevano non solo mani e intelletto d’artista, ma un cuore che conosceva l’arte d’amare.

8. Ma la gioia più intensa mi giungeva da coloro che erano dati per perduti o irrecuperabili. Voi qui a Brescia avete il Termovalorizzatore, che ha saputo fare di un problema una risorsa, trasformando i rifiuti in energia e ricavando energia anche da dove meno si attende. Trasformare un giovane destinato alla devianza e alla prigione in una persona degna di rispetto, “grazie al lavoro e alla pietà cristiana”, mi ha ripagato ampiamente dei miei sacrifici. Se mi chiedete come ho fatto, vi darei la stessa risposta che vi darebbe un tecnico: grazie alle temperature, applicate in modo differenziato. L’energia è già contenuta nel rifiuto, anche se il rifiuto - proprio perché tale – è sbrigativamente considerato “da buttar via”. Invece, una volta portato alla temperatura che gli è connaturale, si innesca il processo della combustione che libera l’energia nascosta.
Per me le temperature sono quelle prodotte dall’amore che non teme di sprecarsi e di sporcarsi mani e piedi e ha trattamenti specifici per ogni situazione umana.

9. Avendo lasciato ai miei successori il ricordo che “la gratitudine, deve essere la massima virtù dell’Istituto”, vi ringrazio fin d’ora di voler partecipare con la vostra arte, al mio desiderio di educare attraverso le cose belle, da vedere, da realizzare, da far amare, augurandovi un cuore tanto ricco d’amore che mai si arrenda e sempre sappia convertire in bagliori di luce anche i momenti più nebbiosi della vita.

10. Termino riferendo un mio profilo fatto da uno che mi conosceva bene: “Non ho mai visto un bresciano più bresciano di lui, nei difetti e nei pregi”, aggiungendo, bontà sua, che “i primi li metteva a servizio dei secondi”. Non sarà forse per questo che ora mi tirano fuori per farmi santo? E’ un invito a ricordarvi che sono orgoglioso di appartenere a questa terra bresciana e a questa chiesa che mi ha aiutato a mettermi con realismo al servizio dei più piccoli dei suoi figli: era ben poco quello che potevo dare, ma l’ho dato senza riserve. E il Signore, da par suo, l’ha moltiplicato.
Vi auguro un lavoro ”buono e bello”, invocando l’aiuto di Dio su voi e le vostre famiglie.
Padre Giovanni Piamarta

Brescia 9 marzo 2012
Padre Pier Giordano Cabra

64 - IL BEATO GIOVANNI PIAMARTA

 

Chiave di lettura dell'opera

In un linguaggio figurativo classico descrive Giovanni Piamarta,
che guida i ragazzi alla Sacra Famiglia di Nazareth.

Autore dell'opera: Dino Decca

63 - GESU' CRISTO (2)

Da "i pensieri di padre Piamarta"

Chi può comprendere un poco dell'amore di Gesù e non rimanerne ferito? Avete mai pensato a Gesù come un pastore che accarezza la pecora smarrita e non vi siete lasciati rapire il cuore? L'avete mai visto e meditato nell' atto di salvare la donna adultera, di consolare la vedova di Naim, di chiamare vicino a sé la Maddalena, di entrare nella casa di Zaccheo, di guarire quel malato, di piangere sulla morte di Lazzaro, senza sentirvi commuovere le viscere da un Dio così pietoso e buono?


Ciascuno di noi veda come si impegna ad edificare la propria vita sopra l'unico fondamento valido che è Gesù Cristo. Su questo fondamento si può edificare: oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, stoppa; ma verrà il giorno del Signore e l'opera di ciascuno sarà provata per mezzo del fuoco. Coloro che sono perfetti come l'oro e l'argento e le perle preziose riceveranno una immediata ricompensa, perché alle loro opere non si attaccherà il fuoco. Coloro invece, che avranno edificato sul legno e sul fieno, cose alle quali si può attaccare il fuoco, patiranno tormenti.

62 - IL SOGNO SI FA ALBERO PODEROSO

 




Chiave di lettura dell'opera

Il chicco di grano seminato, coltivato dal beato Piamarta cresce, in Italia, in Angola, in Mozambico, Brasile e Cile fino a diventare un patrimonio che sfama e offre senso a moltitudini di giovani. Ne sono avvantaggiati i più bisognosi, i più "piccoli", prediletti dal Regno Veniente. Ne sono riconoscenti le loro famiglie: padri, madri, figli e figlie.

Autore dell'opera: Ugo Arcari

61 - GESU' CRISTO (1)

Da "i pensieri di padre Piamarta"

Ordinariamente i figli legittimi non hanno molto piacere che il loro padre assuma figli adottivi e vi è perfino qualche legge che vieta al padre di adottare figli senza il consenso dei propri figli. L'unico e vero Figlio di Dio non solo diede il suo consenso, ma cooperò con tutti i suoi meriti e con lo stesso suo sangue perché noi acquistassimo la figliolanza dello stesso Padre e per conseguenza la fratellanza con il figlio Gesù. Quanta confidenza dobbiamo prendere da questa dolce parola: «Padre».


«Se conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice dammi da bere... ». Sono le parole che Gesù disse alla Samaritana che stava al pozzo di Sichem. Ebbene, Gesù non cessa di andare in cerca dei peccatori: li aspetta, li invita perché la sua onnipotenza si dimostra soprattutto nel perdono.
Anche oggi, stanco di averci aspettato inutilmente per tanti anni, si siede di nuovo al pozzo di Giacobbe, perché vuole dare un colpo ancora più decisivo con la sua Grazia per conquistare i nostri cuori ribelli. Lui ha sete dell' anima nostra. Se sapessi come è bello il dono di Dio... !


«Chi ci separerà dall'amore di Cristo? La tribolazione, l'angustia, la fame, la nudità, la spada? ».
Niente ci separerà! Anzi, noi vogliamo mostrare in mezzo a queste difficoltà il nostro coraggio, sopportandolo per amore di Colui che ci ha tanto amato. Riponiamo, quindi, in Cristo ogni nostra speranza.

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